“Psicologia dell’emergenza: il caso Vajont”

Un libro sui superstiti del Vajont rilancia il problema del sostegno dopo i disastri
«Riconvertire il dolore in crescita»
Recensione di di Nicla Panciera (Corriere delle Alpi, gennaio 2005)
“Psicologia dell’emergenza: il caso Vajont” è il titolo di una recente pubblicazione voluta dal Comitato Sopravvissuti del Vajont. Tre gli autori: lo psicologo Oddone Demichelis, il giornalista Guido Toffolo e Micaela Coletti. Proprio Coletti, che ha registrato insieme a Gino Mazzorana le testimonianze di novanta superstiti, spiega che “il libro riporta le esperienze di 13 individui, alcuni dei quali non avevano mai parlato del loro tragico vissuto”. Nel libro, suddiviso in tre sezioni, sono presenti, oltre ad una rassegna stampa messa a disposizione dal Comitato, una parte cronologica che ripercorre l’intera cronaca di quegli anni e un’analisi di Demichelis di un settore specifico della psicologia, quello dell’emergenza, tragicamente noto oggi anche ai non addetti, a seguito della catastrofe accaduta in Asia con il terremoto.
Lo psicologo Luca Sbattella, direttore del master in interventi relazionali in contesti di emergenza all’Università Cattolica di Milano, è supervisore di una delle squadre di intervento psicologico, in collaborazione con l’ordine degli psicologi Lombardia, per i sopravvissuti di ritorno dall’Asia. Prof. Sbattella, la recente tragedia che ha colpito l’Asia rende attuale un libro sul Vajont a quarant’anni dal disastro. Ha ancora senso intervenire dopo così tanto tempo? «Sì. La psicologia dell’emergenza non si occupa unicamente di primo soccorso, ma è determinante nel lungo periodo. Le vittime di una tragedia vogliono dare un senso agli eventi. E’ un problema di senso. Sono molto importanti i comitati in un contesto di catastrofe collettiva. Nel caso di catastrofi di grandi dimensioni, che non coinvolgono un individuo, ma una comunità intera, e che gettano nello sgomento ogni essere umano, allora diventa chiaro a tutti che nulla è scontato. E’ a questo punto che si crea una frattura di senso nella collettività. Di grande importanza è l’operazione culturale da mettere in atto per la ricostruzione». La psicologia dell’emergenza è una disciplina recente? «No. E’ una dottrina dalle solide basi teoriche. Si pensi che i primi testi sono degli psicologi che nel 1908 hanno seguito la tragedia del terremoto di Messina. Le teorie che abbiamo elaborato sono legate alla guerra. In Europa, ci sono state le due guerre mondiali, con le vittime dei bombardamenti. Validi progressi sono stati fatti in Israele studiando i sopravvissuti ai campi di concentramento. La psicologia ha sempre riflettuto sui grandi disastri, naturali o provocati dall’uomo». Dalle testimonianze dei superstiti del Vajont, emergono difficoltà relazionali a 40 anni dal disastro. «Le conseguenze di un evento traumatico si trascinano fino alla terza generazione. Eviterei però qualunque fatalismo: il vissuto non determina necessariamente la nostra vita futura. L’approccio sistemico prevede adeguati interventi mirati a familiari e amici, non solo alle vittime dirette, che in genere acquistano in saggezza e tentano di trovare un equilibrio nell’riaffrontare la quotidianità, dimostrando una grande forza. Paradossalmente, direi che le vittime dei bombardamenti della seconda guerra mondiale anno fatto l’Italia degli anni sessanta». Riconvertire il dolore in crescita insomma. «Essere stato vittima di una catastrofe, avere subito un trauma non si traduce inesorabilmente in una vita di disperazione. Non è affatto una conseguenza invitabile. Lavorando attivamente, parlando, tirando fuori le emozioni si cresce, nasce la voglia di più pace, di più intelligenza e si può anche ritrovare un senso per la nostra vita». Ci vuole però una rete di professionisti «Sì. Nel caso del Vajont, io penso ai giornalisti, penso al teatro e alla sua funzione catartica. Esso aiuta una comunità a riconoscesi nel dramma e aiuta gli individui nella ricostruzione del senso. Non solo. Un ruolo importante è affidato all’educazione». In Asia, come vi state muovendo? «Proprio oggi è in corso a Roma una riunione; è necessario coordinare gli interventi dell’Italia, dell’Europa e dell’Onu. Il trauma provocato dallo tzunami ha unito popolazione locale e turisti, entrambi vittime. Ora sarebbe auspicabile una nostra presenza sul posto; il mio gruppo partirà per lo Sri Lanka, nel frattempo ci occupiamo di chi arriva in Italia, bambini, feriti, sfollati, parenti».
Il libro “Psicologia dell’emergenza: il caso Vajont” è richiedibile al Comitato Sopravvissuti Vajont, info@sopravvissutivajont.org.
Oddone Demichelis - Micaela Coletti - Guido Toffolo, Psicologia dell’emergenza: il caso Vajont, ed. Artistica Piemontese ed. 2004