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Da SegnoOnLine - Dai non-luoghi allo spazio antropologico: la pratica trasformativa di Firouz FarmanFarmaian

We R The Nomads - Firouz FarmanFarmaian
Farmian Farmaian - Foto di Giorgio Schirato

Fino al 30 settembre Palazzo Dandolo a Venezia ospita la mostra Voyage in Inexistent Land di Firouz FarmanFarmaian

Casanova (1976) di Federico Fellini si apre con una visione stravagante e fantasmagorica di Venezia – una Venezia dell’immaginazione, volutamente artificiale nella sua geografia. Il Casanova di Fellini è ritratto come un uomo costantemente in movimento, ma curiosamente vuoto. A un certo punto, Giacomo Casanova afferma: «Tu viaggi in terre che non esistono. Io preferisco viaggiare nel mondo reale». Questo rifiuto dei viaggi immaginari racchiude la visione cinica di Fellini sul suo protagonista. Sebbene Casanova avesse viaggiato in tutta Europa, Fellini lo descrive come se avesse «viaggiato in tutto il mondo» solo per concludere che era «come se non si fosse mai alzato dal letto» – un libertino senza radici, simbolo di «nulla, universalità senza significato». Nelle mani di Fellini, il viaggio incessante di Casanova diventa un esercizio di futilità, una vita di movimento senza una connessione più profonda né identità.

Al contrario, l’artista contemporaneo Firouz FarmanFarmaian abbraccia l’idea di viaggiare attraverso «terre che non esistono» come atto creativo liberatorio. La sua mostra Voyage in Inexistent Land, che prende esplicitamente il titolo proprio da quella battuta del Casanova di Fellini, trasforma il rimprovero ironico del film in un invito.Allestita a Palazzo Dandolo come il We R The Nomads Pavilion a Venezia, l’esposizione rappresenta ciò che FarmanFarmaian descrive come il prodotto di un «dialogo improbabile» tra due luoghi e modi di essere.Dopo aver rappresentato il Kirghizistan alla 59ª Biennale di Venezia nel 2022, l’artista di origine iraniana ha fondato uno studio a Essaouira, in Marocco, collegando consapevolmente la città portuale marocchina e Venezia come fonti gemelle della sua pratica artistica.

Il significato di questo dialogo tra Venezia e il Marocco è ulteriormente approfondito nel docufilm PATH (2025), che documenta la sua pionieristica rappresentazione del Kirghizistan alla 59ª Biennale – il primo padiglione kirghiso nella storia della manifestazione. Il film cattura ciò che l’artista descrive come il «viaggio turbolento ma ispiratore» per portare le tradizioni nomadi dell’Asia Centrale a dialogare con il prestigioso mondo dell’arte veneziana, svelando le «dure realtà» e le incertezze che si celano dietro la visione romantica di una pratica artistica transculturale. La struttura stessa di PATH– che fonde «la narrazione mitica orientale e le strutture narrative occidentali»– riflette l’approccio estetico ibrido che culminerà poi in Voyage in Inexistent Land.

La condizione nomade
Il viaggio e il dislocamento non sono semplici temi nell’opera di FarmanFarmaian, ma realtà vissute che plasmano la sua visione artistica. Nato a Teheran nel 1973 in una famiglia aristocratica persiana, venne esiliato da bambino a seguito della Rivoluzione iraniana del 1979, diventando parte della grande diaspora post-rivoluzionaria.Sebbene si sia infine stabilito in Europa, FarmanFarmaian si considera dichiaratamente «apolide». Discendente della dinastia Qajar – un tempo una tribù turca nomade che governava l’Iran – porta con sé una memoria culturale di nomadismo tribale e si identifica come un nomade contemporaneo.
Questa storia personale di dislocamento permea la sua pratica interdisciplinare, che abbraccia pittura, tessitura, cinema, musica e design. La sua recente serie Nomads of Persia ha esplorato le ricche tradizioni delle tribù nomadi Bakhtiari e Qashqai in Iran, tracciando espliciti parallelismi tra la loro attuale instabilità e l’esperienza di esilio dell’artista.[7] Piuttosto che trattare il dislocamento come una ferita da guarire, FarmanFarmaian trasforma lo sradicamento in un’etica creativa.

Dalla ricerca culturale all’esplorazione immaginativa
Voyage in Inexistent Land segna un cambiamento cruciale nella traiettoria artistica di FarmanFarmaian. La mostra rappresenta ciò che egli descrive come «un salto etereo nel regno dell’esplorazione immaginativa».Questa transizione dalla documentazione etnografica all’introspezione fantastica riflette un movimento più ampio nella sua pratica verso una visione «post-tribale» – un modo di «riabilitare le tradizioni e la visione del mondo tribali nel discorso contemporaneo».
La metodologia dell’artista incarna questo approccio post-tribale attraverso la sua pratica di stabilire studi in luoghi diversi e di utilizzare materiali locali per le sue installazioni. Il suo spostamento costante tra Venezia ed Essaouira, raccogliendo materiali da entrambi i contesti, mette in atto una sorta di migrazione perpetua all’interno del suo processo creativo.

Mito, memoria e geografie immaginate
Voyage in Inexistent Land «indaga i temi della magia, del mito e dei confini della realtà», segnando il «ritorno alla pittura e all’astrazione» di FarmanFarmaian, invitando il pubblico a esplorare «paesaggi immaginati che sfidano la memoria culturale» e offrendo un commento riflessivo sulla memoria in un mondo sempre più transitorio. L’installazione evoca frammenti di passati collettivi – accenni a tradizioni persiane, leggende veneziane o miti nomadi – che vengono però intenzionalmente sfumati e ricomposti in nuove geografie immaginate.
FarmanFarmaian descrive poeticamente la mostra come «un regno etereo dove il tangibile incontra l’intangibile», uno spazio che «sussurra di meraviglie perdute e sogni dimenticati», invitando gli spettatori a «riconquistare gli echi scintillanti della nostra memoria collettiva». Queste parole evocano un’esperienza quasi cinematografica, trasformando la galleria in una zona liminale tra mondi reali e immaginati – un accampamento nomade per la mente.

Non-luoghi e spazio antropologico
La visione artistica di FarmanFarmaian risuona fortemente con il dibattito contemporaneo sul viaggio e su ciò che l’antropologo Marc Augé definisce «non-luoghi». Augé descrive i non-lieux come spazi di transito che proliferano nella vita supermoderna – terminal aeroportuali, aree di servizio, hotel di catena – che «non possiedono sufficiente significato per essere considerati “luoghi”». A differenza dei luoghi antropologici, che sono relazionali, storici e identitari, i non-luoghi sono luoghi di transito generici dove gli individui rimangono anonimi e i legami sociali sono fugaci.
Come viaggiatore abituale che attraversa tali non-luoghi, FarmanFarmaian risponde infondendo significato e memoria ovunque si trovi. Invece di soccombere al “nessun-dove” del viaggio contemporaneo, raccoglie le storie e i materiali specifici di ogni luogo e li incorpora nella sua arte. Voyage in Inexistent Land crea così un luogo antropologico da una transitorietà – una casa simbolica per il bagaglio culturale accumulato lungo il cammino. Significativamente, la mostra è ospitata nel temporaneo We R The Nomads Pavilion, suggerendo un’identità nomade, effimera, non legata a una singola nazione – essenzialmente un non-luogo curato.

Il romanticismo dell’apolidia
Il filosofo Emil Cioran osservava: «La nostra epoca sarà segnata dal romanticismo dell’apolide. È già apparente l’immagine di un universo in cui nessuno avrà droit de cité. Dentro ogni cittadino oggi c’è uno straniero futuro».Queste parole prefigurano un mondo in cui la dislocazione diventa la norma, dove tutti sono stranieri ovunque, senza appartenere a nessun luogo.
Questo «romanticismo dell’apolide» coglie qualcosa di essenziale nel progetto di FarmanFarmaian. La sua arte trova una vera poesia nella condizione dell’esilio, trasformando il dislocamento in una fonte di creatività e scoperta di sé. Vagando dall’Iran alla Francia, al Marocco, al Kirghizistan e oltre, l’artista ha accumulato un mélange cosmopolita di influenze, insieme al peso psicologico di non appartenere mai completamente a nessun luogo.
Voyage in Inexistent Land può essere letto come una riflessione su questa realtà del XXI secolo. La terra che visitiamo nella mostra è «inesistente» non solo perché rappresenta fantasia, ma perché per l’apolide nessuna terra è davvero casa. Invece di una patria fisica, FarmanFarmaian costruisce una patria mentale ed estetica – un mosaico di memorie, miti e motivi di molti luoghi, intrecciati in un rifugio artistico.

Oltre il velo romantico
Eppure, questo romanticismo nomade non è privo di tensioni. Invocando mito e magia, FarmanFarmaian allude alla natura potenzialmente illusoria delle nostre visioni nostalgiche di appartenenza. I suoi riferimenti a «sogni dimenticati» e «meraviglie perdute» riconoscono che gran parte della memoria culturale è frammentaria, forse persino irrecuperabile. I non-luoghi del mondo moderno minacciano di erodere queste memorie specifiche, e la risposta dell’artista – creare un non-luogo artistico traboccante di contenuti simbolici – solleva interrogativi importanti.
Estetizzare l’esilio rischia di nascondere le sue vere difficoltà? La bellezza della mostra, con i suoi «echi scintillanti» della memoria, potrebbe essere vista come un velo romantico steso su storie reali di violenza e sconvolgimento – dalla Rivoluzione iraniana che espulse la sua famiglia, alla distruzione della vita nomade in Asia Centrale. Una lettura critica potrebbe chiedersi se Voyage in Inexistent Land funzioni come fantasia escapista, elegia nostalgica, o sottile commento alla mancanza di radici contemporanea. Forse opera come tutte e tre le cose contemporaneamente.

Un movimento con significato
In definitiva, Voyage in Inexistent Land rappresenta la risposta personale di FarmanFarmaian al cinismo di Casanova. Dove il protagonista di Fellini finisce i suoi giorni estraniato e lamentando la giovinezza perduta, FarmanFarmaian vede nell’apolidia una fonte di possibilità narrative. La mostra diventa un caravanserraglio temporaneo dove si intrecciano storie da Venezia, Essaouira, Teheran e dalla steppa kirghisa.
In questo spazio, il viaggio trascende la sterile ricerca di mete fisiche criticata da Casanova. Diventa invece un percorso attraverso strati di significato, che invita lo spettatore a viaggiare non solo fisicamente a Venezia, ma anche mentalmente in un territorio amalgamato di cultura e immaginazione. Laddove lo scettico Fellini suggerisce che le avventure di Casanova non portano da nessuna parte, l’odissea di FarmanFarmaian cerca traccia una nuova forma di appartenenza oltre i confini.
L’opera di FarmanFarmaian suggerisce che l’unica via è diventare nomadi della mente, portando la propria casa dentro di sé – anche se questa casa esiste solo in una terra «inesistente», tessuta di memoria e desiderio. Questa visione trasforma la condizione dello sradicamento contemporaneo da fonte di alienazione a fondamento di possibilità creativa, offrendo non una fuga dal nostro presente senza radici, ma un modo più significativo di abitarlo.

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