Cesare Vecellio, degno seguace del grande Tiziano.

Cesare Vecellio

Riportiamo ora la storia del famoso bellunese tratta dal libro:
Paolo Conte e Marco Perale, 90 profili di personaggi poco noti di una provincia da scoprire,Editrice L'amico del Popolo srl, Belluno 1999

CESARE VECELLIO, degno seguace del grande Tiziano.
Da Pieve di Cadore si trasferì a Venezia nella bottega del sommo maestro, suo secondo cugino. Artista versatile, è autore dell'esemplare grande ciclo pittorico di Lentiai.

Devoti e visitatori che entrano in Duomo a Belluno, tra gli importanti dipinti conservati, sul secondo altare di destra possono ammirare un capolavoro di Cesare Vecellio del 1585: la pala raffigurante la Vergine in gloria con i Santi Fabiano e Sebastiano. Il notissimo cognome dell'autore non tragga in inganno perché, se tutti sanno chi era il sommo Tiziano, non molti conoscono la vita e le opere di Cesare.
La grande famiglia Vecellio tra il XIII e XIV secolo ebbe come capostipite il notaio Tomaso di Pozzale di Cadore, mentre il cognome le derivò dal notaio Guecello o Vecello.
I discendenti si distinsero tra i notai, ma tra di essi non mancarono dotti, funzionari, mercanti e soprattutto artisti: ben sette oltre ai due menzionati.
Tornando a Cesare, egli nacque a Pieve di Cadore da Ettore Vecellio attorno
al 1521 e fu, come afferma lo storico Celso Fabbro, secondo cugino di Tiziano. Pare che il fratello di quest’ultimo, il pittore Francesco, gli avesse dato le prime lezioni avanti che si trasferisse a Venezia presso la bottega del grande Maestro.
Qui, oltre all'arte del parente, Cesare guardò agli esempi dello Schiavone, del Tintoretto, del Bassano, carpendone segreti e colori che più tardi ritroveremo nelle sue tele. Viveva in casa di Tiziano, con lui collaborava e per lui svolgeva delicate incombenze. Nel 1548 lo accompagnò in un difficile viaggio che li portò fino ad Augusta. Due anni dopo firmò la prima tela di cui si abbia conoscenza, il ritratto di Paolo Piloni al quale nel 1552 seguì quello del gemello Cesare e - più avanti - quelli di altri componenti della nobile famiglia di origine cadorina da tempo stabilitasi a Belluno.
Pur dimorando a Venezia, Cesare manteneva assidui rapporti con i familiari e le istituzioni cadorine. Ad esempio sappiamo che nel 1563 vendette dei terreni per provvedere alla dote della sorella Tizia.
Dieci anni dopo la Magnifica Comunità di Cadore gli commissionò dei non meglio precisati "lavori da fare ai quadri", designandolo - pare - come pittore ufficiale della comunità.
Intanto continuava a lavorare e a vivere con Tiziano che morì nel 1576. Da quella data Cesare poté finalmente dipingere autonomamente e prender casa con la moglie Laura Moro - dalla quale ebbe Tiziano, Fabrizio, Cecilia e Manetta - nella parrocchia di S. Moisè.
Nei tre anni successivi, 1577-79, lo troveremo impegnatissimo ad eseguire le scene della vita di Maria e di Cristo, numerosi episodi biblici e le figure degli apostoli nella chiesa parrocchiale di Lentiai, dove già si trovavano altre opere sue e di Tiziano (il polittico dell'altar maggiore).
L'impresa si distinse subito per la grandiosità dell'impianto prospettico e la qualità delle pitture. Da quell'epoca e per un ventennio, nuove commissioni gli vennero dal Bellunese. Per i suoi comprovinciali non realizzò solo quadri e affreschi, ma anche ottime miniature.

Le realizzò per i Piloni decorando, a partire dal 1575, 170 libri della loro biblioteca con figure di dignitari, letterati, ecclesiastici, scorci paesaggistici.
A Venezia poi, a partire dagli anni Novanta, si mise in luce addirittura quale autore e stampatore di ammirate pubblicazioni.
Nel 1590 uscì la sua prima fortunatissima opera dal titolo "Degli Habiti antichi e moderni"; una rassegna in due volumi e 415 tavole raffiguranti i costumi più caratteristici - anche bellunesi - dall'antica Roma al Rinascimento.
Più volte ristampati e ampliati, i due libri sono ancor oggi ricercatissimi dai collezionisti. Seguì nel '94 la "Corona delle nobili e virtuose donne", una specie di vocabolario disegnato di merletti e fregi, volume edito dalla sua stamperia della quale altro non sappiamo.
Nell'ultimo scorcio del XVI secolo Cesare intensificò i soggiorni a Belluno e continuò a lavorare nonostante l'età avanzatissima; tra l'altro, probabilmente portò a conclusione le quattro stagioni nell'attuale sede della Provincia (Palazzo Piloni) e nel 1599 firmò la tela di S. Stefano in Belluno,l'Incontro tra Abramo e Melchisedech". Dipinse fino alle soglie della morte che lo colse a Venezia il 2 marzo 1601.
Per quanto riguarda le numerose opere non ancora citate, dobbiamo limitarci a ricordare i luoghi in cui sono custodite. Senza dimenticare i dipinti di Venezia, Padova, 'Tarzo (TV), Borgo Valsugana, Milano ci riferiamo a quelli di Bardies (chiesa di S. Antonio Abate); Belluno (parrocchiale di Astio, eredi Piloni); Cedola di Ponte nelle Alpi (parrocchiale); Ai, Pieve e Vigo di Cadore (rispettivamente la chiesa di S. Osvaldo, l'arcidiaconale e il Palazzo della Magnifica Comunità, le chiese di S. Martino e della B. V. della Difesa);Padola di Comelico (parrocchiale); Feltre (chiesa di Maria degli Angeli).
Come si deduce da questa succinta elencazione, una significativa antologia di soggetti sacri e profani rimangono a testimoniare la longeva stagione pittorica di Cesare Vecellio imitatore in parte di Tiziano, ma anche capace di originalità e versatilità degne di maggiore attenzione e approfondimento.

Per saperne di più:
E. ZADRA, Cesare Vecellio, tesi di laurea, rel. p. ROSSI, Università degli Studi di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 1988-89;
C. COMEL, Un monumento nazionale: la chiesa di Lentiai nella storia e nell'arte, "Dolomiti", XIl, 6 (1989), pp. 7-16;
F VIZZUTTI, La Cattedrale di Belluno, Belluno 1995, pp.82-85.

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