Biografia di Tiziano Vecellio scritta da Francesco Valcanover

Tiziano Vecellio di Francesco Valcanover

Riportiamo una biografia di Tiziano, interessante e ricca di spunti storico-artistici, tratta dal catalogo pubblicato in occasione della mostra veneziana: “Da Tiziano a El Greco Per la storia del Manierismo a Venezia 1540-1590”. pagg.98-99

Comune di Venezia, Assessorato alla cultura, “Da Tiziano a El Greco Per la storia del Manierismo a Venezia 1540-1590”, ed. Electa, Milano 1981


Tiziano Vecellio
Nasce a Pieve di Cadore da una famiglia nota per censo e virtù civiche tra il 1488 e il 1490, secondo le testimonianze del Dolce (1557) e del Vasari (1568). Giunto a Venezia a nove anni con il fratello Francesco, frequenta la bottega di Sebastiano Zuccato, per poi passare in quelle di Gentile e Giovanni Bellini e avvicinarsi infine a Giorgione, accanto al quale è impegnato nel 1508 nella esecuzione degli affreschi del Fondaco dei Tedeschi. Nella primavera e nell'estate del 1511 dà corso ai tre affreschi della Scuola del Santo a Padova. Due anni dopo rifiuta l'invito di Pietro Bembo di stabilirsi a Roma presso la corte pontificia e preferisce offrire i propri servizi alla Serenissima, chiedendo in compenso la «senseria» del Fondaco dei Tedeschi, concessagli nel 1517 dopo la morte (1516) di Giovanni Bellini.
Durante e dopo l'esecuzione (1516-1518) dell'Assunta dei Frari, la sua prima clamorosa affermazione pubblica, entra in rapporto con le più illustri corti italiane: nel 1516 con Alfonso I d'Este duca di Ferrara; nel 1523 con Federico Gonzaga marchese di Mantova; nel 1532 con Francesco Maria della Rovere duca d'Urbino. Nel 1530 nel dare alla luce Lavinia muore Cecilia, che aveva sposato nel 1525 dopo la nascita di Pomponio ed Orazio; l'anno seguente abbandona la bottega di San Samuele per trasferirsi nella casa ampia e spaziosa a Biri Grande, in parrocchia di San Canciano, sulle Fondamenta Nuove verso le isole di San Michele e San Cristoforo. Nel 1533 esegue a Bologna il ritratto di Carlo V, dopo averlo ripreso una prima volta nel 1530, ed è nominato dal potente monarca suo ritrattista ufficiale, Conte del Palazzo Laterano, Conte Palatino del Consiglio aulico e del Concistoro, Cavaliere dello Speron d'Oro. Alla sua rapida fortuna concorre l'amicizia con il Sansovino e l'Aretino giunti a Venezia nel 1527 e con i quali instaura un sodalizio determinante per le sorti della cultura a Venezia lungo alcuni decenni. Soprattutto l'amicizia con lo scrittore e temuto libellista toscano versa in reciprocità di interessi, non disgiunta da una singola­re affinità di ideali estetici.
Acquisito da tempo il ruolo di protagonista della pittura veneziana, Tiziano nell'ottobre del 1545 raggiunge Roma dove ha festose accoglienze da Pietro Bembo, dal cardinale Alessandro Farnese e dallo stesso papa Paolo III, che gli concede un appartamento nel Belvedere. Il soggiorno romano si svolge in una alternanza di lavoro e di visite ai monumenti antichi ed alle opere d'arte moderne con la guida di Giorgio Vasari e di Sebastiano del Piombo. Ma l'ambiente artistico romano mostra di non comprendere i suoi modi espressivi, come testimoniano le critiche di Michelangelo riportate dal Vasari.
Ritornato a Venezia dopo aver ricevuto solennemente in Campidoglio la cittadinanza romana nella primavera del 1546, all'inizio del 1548 raggiunge Augusta dove Carlo V convoca la Dieta dell'impero dopo la sconfitta della lega protestante a Muhlberg nel 1547.

A questo primo soggiorno ad Augusta ne segue un altro nel 1550, accanto a Carlo V che, ormai propenso a ritirarsi dalla vita pubblica, aveva riunito la Dieta e i membri più autorevoli della famiglia imperiale.
Già di ritorno a Venezia nell'agosto del 1551, si impegna a soddisfare le molte richie­ste degli Asburgo, soprattutto del principe Fi­lippo destinato a divenire il suo più insistente committente di opere religiose ed allegoriche, e soprattutto di dipinti di carattere ero­tico detti «poesie ». Non tralascia peraltro gli impegni di ritrattista per la Repubblica e importanti commissioni chiesastiche, isolandosi sempre più nel lavoro, soprattutto dopo la scomparsa dell'Aretino nel 1556, di Carlo V nel 1558, del fratello Francesco nel 1559. Non manca però di occuparsi delle pratiche neces­sità della vita. Con caparbia insistenza ricorda a Filippo II i molti crediti; si occupa con il figlio Orazio del commercio di legnami; nel 1564 è a Brescia per alcune tele del soffitto del Palazzo Pubblico; l'anno seguente a Pieve di Cadore sovrintende alla esecuzione degli affreschi dell' abside della parrocchiale eseguiti su suoi disegni dalla bottega.
Giungono anche gli ultimi riconoscimenti: nel 1566 è eletto membro dell'Accademia dei pittori e degli scultori toscani; nel maggio dello stesso anno Giorgio Vasari visita il suo studio a Biri Grande; nel 1574 riceve la visita di Enrico III.
Nella casa resa deserta dalla peste muore il 27 agosto 1576.
Il Senato veneziano ne ricorda con solennità la scomparsa in San Marco ed ai Frari.
Giovanissimo Tiziano, negli affreschi del Fondaco dei Tedeschi del 1508 e poco dopo in quelli della Scuola del Santo a Padova del 1511, mostra precoci segni di indipendenza nei confronti dei suoi maestri. Ponendo a frutto la calma e ferma partitura cromatica di Giovanni Bellini e la fusa modulazione dei toni di Giorgione attinge una orchestrata intensità di colore dipanato in dinamici contrappunti di piani flagranti e larghi, con la quale afferma perentoria chiarezza di moti fisici e di atteggiamenti sentimentali. Nel confermare Tiziano in queste propensioni, dove ogni parvenza di vita tocca evidenza incomparabile prospettico­spaziale in senso pienamente rinascimentale per la forza incalzante del ritmo creativo di superiore armonia, ebbe parte determinante la presta conoscenza di Andrea Mantegna, del Durer, di Michelangelo e di Raffaello, come testimonia la grande xilografia con il Trionfo della Fede.
Nel secondo decennio Tiziano rinnova in via definitiva ogni esperienza nella carica vitale dei toni con cui esprime la visione di un mondo di bellezza armoniosa nel pieno del suo rigoglio e in gara esaltante con la natura. In questo “classicismo cromatico”, senza turbamenti né incrinature, rinnova i temi iconologici ancora Giorgioneschi della Allegoria delle tre età di Edimburgo e dell’Amor Sacro e Profano della Borghese a Roma, i modi arcaici delle Sacre Conversazioni (della collezione Magnani di Reggio Emilia e delle gallerie di Monaco e di Londra ), gli effetti classicistici della
monumentale Assunta dei Frari (1516-1518), ben avvertiti dai contemporanei fra i quali il Dolce, che nell'opera scorgeva: “la grandezza e terribilità di Michelangelo, la pia­cevolezza e la venustà di Raffaello, et il colorito proprio della natura”.. La volontà di Tiziano nella pala grandiosa di porsi al passo con l'arte italo-centrale ritorna insistente nei dipinti degli inizi del terzo decennio. Ma se frequenti sono i richiami a Michelangelo, a Raffaello ed alla statuaria antica nei Baccanali dipinti tra il 1518 ed il 1523 per il camerino d'alabastro di Alfonso d'Este nel Castello di Ferrara, nella Pala (1520) di Ancona commessa da Vincenzo Gozzi, nel polittico Averoldi (1522) di Brescia, sempre ogni problema formale è risolto nella prepotente vitalità del colore.
Che però in questi anni Tiziano lottasse «con vario esito con i demoni etruschi che salivano d'ogni parte verso Venezia» (Longhi, 1946) è testimoniato, fra l'altro, dal San Cristo­foro, affrescato verso il 1523 in Palazzo Duca­le, che nella esuberanza di forme e di pose in accezione «romanista» sembra porsi in ga­ra con le figure protomanieristiche del Porde­none, l'unico artista capace di contendere a Tiziano il primato della pittura a Venezia. La coscienza che la cultura dell'Italia centrale, rotto l'equilibrio della serena e piena armonia del brevissimo momento di dominato equilibrio classico, si stava orientando verso la «maniera» non è certo estranea alla complessa e grandiosa monumentalità di pensieri che Tizia­no mostra nella realizzazione della pala Pesaro (1519-1526) dei Frari e soprattutto della perduta pala di San Pietro Martire (1528-1530) dei Santi Giovanni e Paolo, nella quale si invera una idea violentemente drammatica, realizzata in «una scioltezza compositiva che non è soltanto intensità naturalistica, ma anche ri­cerca complessa di schemi formali manieristicamente intesi» (Pallucchini, 1969).
Se vigile è la sua attenzione verso il mutare di gusto della moderna arte italiana, ed in questo è confortato anche dall'arrivo a Venezia nel 1527 dell' Aretino e del Sansovino e dal breve soggiorno veneziano nel 1529 di Michelangelo, Tiziano non cessa di perseverare nel suo naturalismo sempre più in chiave "realistica". Ne dà altissima prova nella Venere di Urbino (1538) degli Uffizi a Firenze, risolta in tanta sensualità di immagine e concretezza di ambientazione e nella Presentazione di Maria al tempio del 1534-1538 delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, che dopo l'odierno restauro (1980-1981) mostra tutta la sonora intensità della tastiera dei toni, elemento unitario della invenzione scenica la cui complessità risente dei tempi manieristici. L'influsso di questi si fa però ben più potente in altre opere contemporanee, nella famosa Battaglia iniziata nel 1513 per la sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, ultimata solo nell'agosto del 1538 e bruciata nell'incendio del 20 dicembre 1577, e in modo particolare nella serie, pure perduta, degli undici Imperatori romani, redatti tra il 1537 ed il 1538 per l'appartamento di Troia allestito da Giulio Romano nel Palazzo Ducale di Mantova, nei quali come si ricava dalle incisioni dello Sadeler, i problemi formali sono risolti in una enfasi oratoria, accademica e drammatica, nell'esacerbato plasticismo e nella violenta definizione dell'immagine. Con questo nuovo atteggiamento di gusto, in antitesi con il precedente naturalismo e certo non a caso in concomitanza con la rapida e piena affermazione a Venezia delle idee manieristiche, anche per le presenze a Venezia di Giovanni da Udine e Francesco Salviati (1539), di Giuseppe Porta (dal 1539) e Gior­gio Vasari (1541), Tiziano apre il quinto decennio. Su fondali privi di profondità prospettica le immagini sono sbalzate dalla luce in forti risalti plastici ed in superficie, spesso costruite su diagonali incrociate, sempre colte nei movimenti e negli scorci più complessi e concitati, nei sott'in su più arditi. Ma la conversione di Tiziano al Manierismo nella versio­ne violenta di Giulio Romano ed in quella ben altrimenti elegante di Giuseppe Porta avviene senza la rinuncia alla ricchezza modulata del colore e della luce. Nella Allocuzione di Alfonso d'Avalos alle truppe (1541) del Prado la suggestione drammatica della scena è data dalla intonazione di colore bassa di tono e rossiccia. Laminati dalla luce, ma non meno espressivi nella loro intensità di valore locale sono i colori della Incoronazione di spine, dipinta verso il 1542 per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano e oggi al Louvre; mentre stingono in un affocato e denso fulgore nell'Ecce Homo (1543) del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Le stesse figure dei tre soffitti eseguiti per Santo Spirito in Isola tra il 1542 ed il 1544, oggi alla Salute, articolate in pose e in gesti di programmatica forza "romanista ", sono imbastite sul ciglio fermo del colore contro cieli aperti che si intravedono luminosi ed atmosferici sotto le ingrommature giallastre delle vernici non origi­nali alterate.
La coesistenza del disegno manieristico con i modi pittorici propri della tradizione veneziana, il colore e la luce, rende autonoma e ori­ginale l'adesione di Tiziano alla "maniera ". L'antinomia dei mezzi espressivi, del resto, non dura a lungo e già nelle opere immediatamente anteriori al soggiorno romano del 1545-1546, in particolare nella pala di San Gio­vanni Elemosinario di Venezia, nel Ritratto dell'Aretino di Pitti e nella Danae delle Galle­rie Nazionali di Capodimonte, Tiziano reagisce alla crisi maturando un inedito modo di dipingere basato sulla libertà del colore filtra­to nel chiaro scuro trasparente dell'atmosfera. Calati in parvenze aperte e coloratissime i formalismi intellettualistici della linguistica manierista tosco-romana sono ora di stimolo a Ti­ziano per affermare la propensione di coinvolgere il mondo e l'uomo in una interpretazione non più armonica ma drammatica della realtà, di una inquietudine spirituale che prima non turbava la sua visione limpida e serena dei destini umani. Se nei ritratti i modelli si caricano di tutta la loro esistenzialità umana, straordinariamente significativo il Carlo V a cavallo del 1548 del Prado, nei dipinti religiosi e nelle molte «poesie» eseguite per Filippo II figure e paesaggio si calano in un unico pathos drammatico, realizzato in straordinaria unità tonale che si avvale di una concezione dello spazio ormai estranea a quella tridimensionale del Rinascimento.
Man mano che ci si inoltra nel sesto e nel settimo decennio gli antichi temi trattati lustri addietro in chiave naturalistica sono ricreati da Tiziano in un sentimento interiore e profondo della realtà, mediante una struttura pittorica corsiva ed abbreviata, dove la luce lie­vita con gli stessi colori. Allontanandosi in questa sorta di «alchimia cromatica» (Lomaz­zo, 1590) dalle leggi della metrica formale del Rinascimento, Tiziano non rinnega però l'intima essenza di quel mondo spirituale: l'uomo rimane sempre immanente e reale, ed al suo' tragico destino partecipa il mondo sensi­bile. Sempre più in questo linguaggio attento agli umori della Controriforma, ogni argomento trova il veicolo formale più immediato nella travolgente libertà espressiva del colore, di una qualificazione di luce densa e compenetrata, ben lontana dalle interpretazioni date dai tre altri geniali artisti che da tempo Tiziano vedeva crescere attorno a sé a Venezia: Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese e Jacopo Bassano. Man mano che scompare ogni sentore di Manierismo, che pur tanto aveva contribuito a disancorare Tiziano dalle secche del naturalismo, sempre più i fantasmi poetici sono pervasi da una grandezza disperata, carica di un senso tragico dell'esistenza, dove le immagini si frantu­mano all'unisono con lo spazio in parvenze incandescenti, in bagliori di luce. Ed anche questa fase estrema è priva di ogni avvisaglia di decadenza, quanto ricca di forza creativa sempre sorgiva, come mostrano alcune delle sue tappe fondamentali, l'Annunciazione di San Salvatore a Venezia, la Crocifissione dell'EscoriaI, l'Incoronazione di spine di Monaco, la Ninfa e pastore e il T arquinio e Lucrezia di Vienna, la Punizione di Marsia di Kromeriz ed infine la Pietà delle Gallerie dell'Accademia di Venezia. Con questa opera dolente, lasciata incompiuta nello studio, Tiziano chiude la sua postrema evoluzione e trasformazione, e insieme l'arco immenso della sua arte, svolta senza soluzione di continuità con superba sicurezza e sovrano equilibrio fino all'ultima, tragica esperienza della esistenza umana.

di
Francesco Valcanover

 
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