Il tartufo, “diamante nero” del Monte Grappa
Un’eccellenza nel cuore della Riserva della Biosfera: radici lontane e una presenza oggi consolidata. Nel 2014 sul territorio è nata l’associazione che promuove degustazioni e ricerche
Sosteneva Brillat-Savarin intorno al 1825: “Il tartufo è il diamante della cucina”. E la considerazione per il prelibato fungo ipogeo non è cambiata successivamente, così come non fu diversa in molte epoche della storia umana.
Per questo fa specie scoprire che alla fine del Seicento si svolgeva a Crespano del Grappa una piccola fiera locale del tartufo e che in una guida stampata a Belluno nel 1780 le “tartuffole”, cioè i tartufi, sono indicati come eccellenza enogastronomica del territorio che va da Cornuda a Romano d’Ezzelino.
Stupisce perché si tratta di una zona della Pedemontana trevigiana in cui oggi non esiste una tradizione di ricerca e nemmeno di cucina del tartufo, ma nella quale, da pochi anni, il tartufo è tornato a farsi trovare, sia nei boschi sia sulle tavole di molti locali di quell’area, che dallo scorso anno è anche il cuore della Riserva della Biosfera Monte Grappa.
E “diamante nero” lo definiscono gli amanti di quel territorio che nel 2014 hanno dato vita all’Associazione Tartufo del Grappa, che oltre a promuovere la sua degustazione ha avviato numerose ricerche sulla presenza storica del tartufo e una produzione di salsa, burro e olio aromatizzato utilizzando, tra l’altro, una percentuale di tartufo ben più elevata rispetto alla media dei prodotti della stessa categoria, mentre altre sperimentazioni si sono diffuse nei laboratori di altri artigiani del gusto, oltre che nei ristoranti e negli agriturismi per valutare da un lato e per valorizzare dall’altro questo “nuovo-antichissimo” prodotto.
La ricerca è continuata anche tra i boschi del Monte Grappa per individuare le tipologie presenti, che al momento sembrano essere tre: lo scorzone estivo (Tuber Aestivum) e gli invernali pregiato (Tuber Melanosporum) e uncinato (Aestivum var. uncinatum).
Ma com’è accaduto che un fungo, ancorché sotterraneo, scompaia e riappaia nella stessa zona? Anzitutto vanno ricordati sia il pesante disboscamento subito da tutta l’area del Monte Grappa fino alla fine dell’Ottocento, volto a trasformare molte aree boschive in pascoli, sia le successive pesanti devastazioni inflitte anche all’ambiente dalla Grande Guerra.
Dal secondo dopoguerra in poi, invece, sempre più boschi hanno ripopolato il massiccio del Grappa, anche con la reintroduzione di piante autoctone, ricreando lentamente l’habitat naturale per la diffusione del tartufo. Accade poi che nel 2013 una ricerca dedicata alla storia locale porta alla “scoperta” di questo passato illustre, qualcuno si metta alla ricerca dei tartufi con la collaborazione di raccoglitori esperti e i profumatissimi funghi sotterranei si facciano trovare con relativa facilità.
Oggi il Tartufo del Grappa è un brand, introdotto in numerosi ristoranti della zona che lo hanno inserito con successo nei menu; i prodotti che lo contemplano sono presenti in molti negozi e gastronomie dell’area. Ma come tutti i prodotti necessita di tutela, tracciabilità e buona comunicazione, per innescare quel processo virtuoso di valorizzazione di sé stesso, del suo territorio e di tutti gli operatori che credono nell’inatteso “diamante nero” del Monte Grappa.