Caffi Patriota ha vissuto sempre in prima linea sia come soldato sia come artista-reporter

Caffi Patriota

Caffi patriota: storia illustrata d'Italia
Nella prima metà dell'800 in Italia iniziò un processo di graduale riscoperta e sempre più netta rivendicazione della propria identità nazionale; le sommosse popolari furono in quegli anni innumerevoli e se le prime insurrezioni partirono da una stretta minoranza, le imprese di Garibaldi suscitarono grandi entusiasmi e determinarono la crescente diffusione delle idee risorgimentali e la partecipazione delle masse ai moti e alle sollevazioni.

Ippolito Caffi, mosso da un profondo spirito patriottico, ha vissuto sempre in prima linea tutti gli avvenimenti storici sia come soldato sia come artista-reporter, infatti, grazie ai suoi dipinti, schizzi e disegni oggi possediamo una fondamentale testimonianza iconografica e scritta di battaglie e combattimenti, che portarono alla formazione dello Stato unitario Italiano.Sin dai moti dei '48 la vita di Caffi si legò indissolubilmente alla politica, fino alla sua tragica morte in mare durante la battaglia di Lissa, nel 1866.Scorrere le tappe della sua vita avvincente di uomo ed artista significa dunque ripercorrere una sorta di storia illustrata d'Italia. Nel 1848 Caffi si trova a Roma, ma appena viene a conoscenza dell'insurrezione nel Lombardo Veneto contro gli austriaci lascia Roma per la sua terra natia senza esitazioni. Torna a Venezia, che vede finalmente liberata, e si dirige a Palmanova per arruolarsi nelle file dei crociati bellunesi che si stanno preparando alla battaglia contro il fortissimo esercito austriaco deciso a riconquistare a tutti i costi le città perdute.A capo dei crociati vi è il generale Zucchi che, dopo la presa da parte degli austriaci della città di Visco, durante la quale Caffi riesce a tracciare un rapido schizzo, ordina l'attacco per tentare la liberazione della città e spingere nuovamente l'esercito nemico oltre I'Isonzo; purtroppo l'esito di quella battaglia fu disastroso: i crociati vennero battuti a Jalmico, le truppe furono costrette a ritirasi e molti soldati, fra cui anche Caffi, furono catturati e imprigionati.Il fervente racconto di quei giorni è descritto dallo stesso Ippolito in una lettera, indirizzata al Marchese Antinori, pubblicata in quell'anno a scopo di propaganda politica: l'artista racconta tutte le angherie subite, la sua condizione di prigioniero, gli insulti della gente nel viaggio fino a Gorizia, le percosse subite e il lungo digiuno che provò pesantemente lui e suoi compagni.Scarcerato fortunatamente per decisione del conte Hartigh, il quale concesse la piena grazia per la ricorrenza dell'onomastico di S.M. Ferdinando, al suo ritorno a Belluno non mancò di raccontare i fatti ai suoi concittadini, nonostante questo suo comportamento eversivo non facesse che peggiorare la sua posizione nei confronti degli austriaci che - dopo aver occupato Belluno il 5 maggio del 1849 - inserirono nell'elenco dei ricercati anche il nostro Caffi.Fu quindi costretto a rifugiarsi nelle montagne dell'Agordino, dove rimase nascosto per lunghi giorni soffrendo la fame, la stanchezza e l'isolamento. Con l'animo e il fisico provato, decise di raggiungere Venezia e, passate le linee austriache, giunse in laguna dove, nel mese di dicembre di quello stesso anno, sposò Virginia Missana.Le difficoltà affrontate in nome della Patria non lo avevano spaventato: non fece in tempo a stabilirsi in città che già fu arruolato nella Guardia Civica dove venne nominato capitano.È in questo periodo che il suo duplice ruolo di artista-reporter e combattente si consolida anche grazie ad una speciale autorizzazione del Comitato di Pubblica Vigilanza e del Comando delle Città Forti che gli permetteva, durante i combattimenti, di illustrare gli episodi della difesa di Venezia.Quello stesso anno accade un fatto che limiterà la futura libertà del Caffi, infatti il 3 agosto ci fu un tumulto in Palazzo Querini, negli appartamenti dove in quegli anni soggiornava il Patriarca Jacopo Monico. Michele Caffi, il vero incitatore del saccheggio di Casa Querini, per scagionarsi accusò Ippolito e disse che a lui non si doveva nessuna imputazione in quanto figlio del presidente del tribunale di Rovigo e quindi fedele suddito di S.M. Imperiale.Per questa falsa testimonianza Ippolito fu inserito nella lista dei 40 proscritti, come Caffi Impiegato, e fu costretto ad andare in esilio insieme alla sua Virginia; riuscì a raggiungere Livorno e lì ottenne il visto per imbarcarsi nella nave diretta a Genova. Questi anni sono documentati dall'epistolario tra l'artista e il fratello rimasto a Venezia: Ippolito chiede insistentemente al fratello di procurargli un certificato firmato dai consoli dove si specificava la sua completa estraneità con il Caffi impiegato delle liste di proscrizione. Attende parecchio tempo prima di veder esaudito questo suo desiderio e nel frattempo viaggia: Torino; Nizza, Ginevra, Granata, Londra; nonostante gli austriaci avessero chiesto al Piemonte l'estradizione di Caffi, che però non viene concessa dal governo di Vittorio Emanuele II.Nel 1855 lo troviamo a Parigi, dove incontra Daniele Manin esule da Venezia.Nel 1858 - ben dieci anni dopo l'ingiusta condanna - torna a Venezia per affrontare il processo a suo carico, che dura 9 mesi e dal quale ne esce completamente prosciolto. Dopo i primi periodi torna a dipingere con serenità ed esegue moltissimi schizzi durante il Carnevale, ma il clima politico era molto pesante: le spie invadono la città e Caffi in un suo splendido album le ritrae in Piazza San Marco; la libertà di espressione non è certamente tra i diritti più rispettati: alcuni Caffè, tra cui il Caffè degli Specchi, vengono chiusi perché luoghi dove la gente parlava troppo di politica.In quello stesso anno gli austriaci muovono guerra contro Piemonte e Francia.Ad ogni modo le pesanti restrizioni imposte dalla polizia non riescono a bloccare il fermento risorgimentale: il Comitato Unitario Italiano spedisce proclami nelle maggiori città italiane e il commissario della polizia di Belluno rinvia a Venezia quella arrivata in città, indicando come probabile mittente Ippolito Caffi. L'artista viene arrestato con l'imputazione di alto tradimento ma durante il processo le prove portate a suo carico non vengono accertate e Caffi viene assolto e rilasciato dopo tre mesi di carcere durante i quali esegue una serie di disegni raggruppati sotto il titolo "Dalle prigioni politiche di S. Severo a Venezia"Dopo la scarcerazione va a Milano e, raggiunto da Virginia, partono insieme per Napoli dove assiste, prendendo degli schizzi dell'evento, alla trionfale entrata in città di Garibaldi e del Re Vittorio Emanuele Il il 7 novembre 1860. Il Re lo incaricherà di tradurre il bozzetto in un quadro: un'enorme tela di 2,77 metri x 1,65 - che sarà in mostra a Belluno - intitolata appunto "L'Ingresso di Re Vittorio Emanuele 11 a Napoli nel 1860"; opera conservata a Palazzo Chiablese, a Torino.

Nel 1861 si reca a Nizza e poi a Torino, dove chiede lo svincolo dalla cittadinanza austriaca. II 9 febbraio del 1862 il Re gli concede con regio decreto la cittadinanza italiana e da libero cittadino torna a Venezia dove, attentamente controllato dalla polizia austriaca, continua a lavorare.

La lotta per l'Unità del Paese prosegue e nel 1866 scoppia la Terza Guerra d'indipendenza; Caffi decide di partire per Firenze, allora capitale d'Italia, per ottenere l'autorizzazione ad imbarcarsi su di una nave da guerra italiana e seguire le sorti della flotta nella nuova campagna contro l'Austria. In quei giorni schizza, tra le tante macchiette di soldati garibaldini, anche la nave ammiraglia "Re d'Italia": quasi un presagio del suo destino.
Ottenuta l'autorizzazione all'imbarco, si dirige elettrizzato verso Taranto il 5 giugno di quell'anno, dal cui porto salpa il 21 giugno, dopo la dichiarazione di guerra contro l'Austria, nella corazzata "Indipendenza" con direzione Ancona.
La flotta è comandata dall'ammiraglio Persico, che viene duramente contestato per i pochi risultati ottenuti durante i primi giorni di combattimento dopo i quali viene deciso l'attacco per impossessarsi dell'isola di Lissa. La gestione di questa operazione si rivelerà fallimentare sotto tutti gli aspetti sin dalla mancata fornitura da parte della Marina Militare della pianta dell'isola richiesta da Persico: la flotta il 18 luglio raggiunge l'isola senza nessuna conoscenza topografica.
Purtroppo la resistenza austriaca si rivela subito determinata e anche Caffi scrive della sua delusione. In questa circostanza si compie il destino dell'artista, infatti l'ammiraglio iI 19 luglio fa sospendere il bombardamento e durante questa sosta dal fuoco invita l'artista a raggiungerlo nella Re d'Italia: Caffi accetta immediatamente l'invito per quel posto di grande onore, ma anche di maggiore pericolo. Da quel momento partecipa in primissima linea all'azione della flotta, e sicuramente non manca di annotare con i suoi veloci schizzi tutti gli avvenimenti, ma purtroppo queste testimonianze sono andate perdute durante l'ultimo giorno di battaglia, il 20 luglio del 1866 quando la "Re d'Italia" viene affondata dalla nave austriaca "Ferdinand Max"
Pochissimi dell'equipaggio si salvarono e tra questi non c'era Ippolito Caffi.

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