I luoghi e l'opera di Caffi attraverso la mostra

I luoghi e l'opera di Caffi attraverso la mostra

"Oh quanto, oh quanto è assai più facile trattar sempre i stessi soggetti, dipingere sempre quello che è innanzi agli occhi; di quello che cambiare cielo, costumi e caratteri d'ogni cosa secondo il paese che si vuole rappresentare!"

Caffi è un viaggiatore insaziabile.
L'urgenza di vedere e di conoscere, di indagare e di scoprire nuovi volti della realtà e della natura lo porta in giro per il Mediterraneo alla ricerca di stimoli, di nuove prospettive, di momenti" da cogliere e fissare sulla tela.
"...Le cognizioni sono la sorgente donde viene la felicità", scriveva in sintonia con lo spirito positivistico della sua epoca.
Si è sottolineato come Caffi sia un viaggiatore che "sa prendere pittoricamente possesso di un luogo": lo studia in tutte le sue manifestazioni, ne coglie sfumature, atmosfere e angolature diverse, traduce emozionalmente - sulla tela o nei suoi album - questa sua visione.

A parte Belluno, saranno comunque Venezia e Roma le due città di riferimento per Caffi, quelle che lo ispireranno e lo consacreranno all'arte, i luoghi ove risiederà e dove tornerà ripetutamente. Venezia e Roma unite e dialoganti, virtualmente, negli affreschi che il pittore realizza nelle salette del famoso Caffè Greco a Roma (1837): due vedute di Venezia e due di Roma, ampiamente descritte, delle quali rimane oggi solo il Ponte di Rialto.

Belluno

Caffi lascia Belluno nel 1825 per studiare a Padova e frequentare poi ]'Accademia di Belle Arti a Venezia. La sua arte, la sua inquieta curiosità, la partecipazione ai moti risorgimentali lo spingeranno in molti altri luoghi, ma nei periodi in cui si concede un po' di riposo l'artista torna a Belluno e durante lunghe camminate disegna.
Di Belluno e dei suoi dintorni ha lasciato dunque numerosi appunti grafici ma anche alcuni oli interessanti, come quelli che nel 1843 dona al papa bellunese Bartolomeo Alberto Cappellari, Gregorio XVI. In mostra, in particolare, una Veduta di Belluno con il Monte Serva sullo sfondo ed una Veduta di Belluno col Ponte Nuovo sul Piave, entrambi di epoca tarda (1859) che sottolineano una totale, seppur velatamente mesta adesione del pittore al paesaggio.

Venezia

A Venezia Caffi si forma artisticamente, studiando prospettiva, anatomia e nudo nell'ambiente - all'epoca un po' angusto - dell'Accademia di Belle Arti. Acquisisce alcune commissioni veneziane e i primi riconoscimenti, da parte del pubblico e della critica, vincendo anche il concorso di prospettiva indetto dalla stessa Accademia (1830).
Ma è solo dopo il primo soggiorno romano che Caffi approda ad una nuova ed originale resa pittorica della veduta e del paesaggio, capace di dare un'impronta nuova anche alle sue "scenografie" veneziane. Allontanandosi così dalla tradizione prospettica, avvia una pittura fatta di luci e colori, di "effetti speciali" e di rese atmosferiche.

Gli anni a cavallo del 1840 sono i più prolifici nella sperimentazione di questa ricerca.
Con "La festa notturna a San Pietro in Castello" (1841) esposta in mostra, l'artista si cimenta sui temi del "meraviglioso" e delle feste popolari - notturne, in particolare - già affrontate con successo strepitoso nei "moccoletti" del carnevale romano.
Al senso dell'eccezionalità e della trasgressione proprie della festa, si aggiunge il dato delle tenebre, sfida ancor più accentuata che "tanti professionisti del paesaggismo più articolato e vario hanno volentieri accantonato".
Le tenebre si animano di fiaccole torce, fiammelle e Caffi coglie, attraverso i bagliori di quelle luci artificiali, un nuovo volto della città.
Quasi come accadrà - molto più tardi - in 'Venezia: serenata dirimpetto alla piazzetta di San Marco" del 1865 o nell'affascinante e vivacissimo, "Venezia: sera di Carnevale" del 1860, entrambi provenienti dal ricco fondo di Ca' Pesaro. "Neve a Venezia: la Salute e il Canal Grande" è un'altra opera cardine della poetica caffiana: soggetto raro se non assente nel vedutismo di stampo canalettiano, che segna l'allontanarsi di Caffi da queste radici ideali e il superamento delle stesse nella trascrizione partecipata all'evento naturale.
In mostra vi sono tre delle poche versioni note di questo soggetto, tra cui un inedito in collezione privata romana, accostabile per misure e datazione (1841) a quello conservato al Museo Civico di Belluno; mentre appare più tarda la versione del Museo Revoltella di Trieste, con luci più fredde e una tavolozza quasi vitrea.

Roma

II grande sogno di Ippolito Caffi: la città eterna.
Anche oggi il fascino della città è rimasto immutato e si può rivivere nei paesaggi del pittore. Anche oggi si possono ammirare i giochi infiniti di luce che i tramonti regalano sui sette colli e - nelle nostre passeggiate crepuscolari - come l'indaco si trasformi in blu nella notte romana. Caffi giunge a Roma per la prima volta - ove ritornerà per lunghi soggiorni - nel gennaio del 1832, ospite del cugino Paoletti, e già due anni dopo risulta avere un'abitazione propria al n. 25 di Via Vittoria, e riconoscimenti e commesse non scontate per un neofita, come l'incarico di realizzare le scenografie per il Teatro Tor di Nona.

A Roma il pittore bellunese dimentica in parte le regole del Settecento, sente la suggestione della veduta così ricca di memorie e di variazioni luministiche e, a suo modo, si allinea al passo della pittura europea del tempo in una serie di paesaggi presi direttamente dal vero, senza alcuna remora culturale, al di fuori di ogni accademia.

Dei primi anni romani sono note alcune opere, come "I Aranceria di Villa Borghese" del '34 - che mostra ancora un gusto settecentesco nell'impaginato spaziale - e la »Veduta di P.zza dei Pantheon" del '37, ma soprattutto risalgono al primo soggiorno alcuni lavori che ebbero grandissima fortuna, in particolare un notturno con la rappresentazione del carnevale di Roma e la "Festa dei moccoletti in via de Corso" Un tripudio di lumi, bagliori e fuochi d'artificio; una vivacissima rappresentazione di folla. Un soggetto che Caffi dovette replicare ben 42 volte - tante furono le richieste - che volle far conoscere all' Accedemia di Belle Arti in uno dei suoi primi viaggi a Venezia e che, nel '55, presenterà, riscuotendo ampi consensi, all'Esposizione Universale di Parigi_ In mostra oltre ad un bellissimo olio in collezione privata, anche tempere ed acquarelli.
Nel corso del primo soggiorno romano (dal '32 al '48) il bellunese fece numerosi viaggi: tornò più volte nella città lagunare, lavorò a Trieste e Padova, affrontò il lungo e avventuroso viaggio in Oriente. In quegli anni dipinge numerosi monumenti antichi e moderni - i Fori, P.zza San Pietro, ['Acquedotto romano, il Colosseo - e, prima di lasciare la città per il suo viaggio in Oriente, immortala, con un ottica grandangolare, la "Benedizione papale in Piazza San Pietro" con folla colorata ed entusiasta che si assiepa sulla piazza. Il Museo di Roma possiede, e presta alla mostra, sia un olio su carta applicato su tela - probabilmente il bozzetto preparatorio del soggetto che Caffi nello stesso anno dipinse per quattro volte - sia un dipinto dall'insolito formato, forse studio preparatorio per un insieme più complesso. Sarà soprattutto nelle opere romane successive alla parentesi orientale che Caffi, tuttavia, raggiunge vertici altissimi.
Nel "Colosseo illuminato da fuochi di bengala" (1845) il contrasto tra il rosso bagliore al centro del monumento e le cupezza fumosa delle arcate controluce si risolve in un effetto spettacolare, che non manaca - nei tre colori che si mescolano: bianco, rosso e verde - di richiami patriottici. Affascinante e di grandissima qualità "Effetto nebbia su Roma», del Museo di Roma, ove tutto rivela "un'ispirazione-lampo" e un'adesione al fenomeno atmosferico decisamente "moderna'. Si tratta di una delle più singolari vedute di Roma dal Pincio, soggetto proposto da Caffi in diverse versioni luministiche ed in differenti momenti del giorno. In tal senso è interessante, in mostra, il confronto con la versione del Museo di Ca'Pesaro - di un anno precedente, ma in cui si percepisce già l'evoluzione della funzione stilistica della luce naturale - e con due versioni in collezioni private, probabilmente più tarde, che mostrano un'ulteriore evoluzione ed emancipazione della pittura caffiana.

Sempre al '47 risale la famosa avventura di Caffi con l'aeronauta francese Francesco Arban, che lo porta con sé durante un suo volo sul pallone partendo dal parco di Villa Borghese, sotto gli occhi di numerosi curiosi. Caffi ebbe allora modo di studiare le prospettive aree e gli effetti della luce, realizzando numerose memorie di questa esperienza, due delle quali proposte in questa antologica - una da Ca' Pesaro, l'altra dal Museo Civico di Treviso - con differenti scorci ed effetti atmosferici.
Opere mature e di grande modernità segnano gli anni successivi, a partire da quella straordinaria testimonianza che Caffi, nell'anno cruciale del 1848, darà della fraintesa benedizione di Papa Pio IX all'Italia.
L'artista, presente all'avvenimento, registra nei suoi dipinti con la "Benedizione di Pio IX dal Quirinale" la gioia e l'illusione della folla che si riversa in piazza entusiasta; l'entusiasmo che si trasforma in festa e la festa in colore. Tra le diverse repliche note quella di maggior impatto, per dimensioni e valenza espressiva, è sicuramente l'olio proveniente da collezione privata inglese, presentato accanto alla versione del Museo Civico di Treviso che ha luci più fredde, ombre più nette, quasi spettrali.
Dell'ultimo periodo romano dell'artista bellunese, richiamiamo l'attenzione di due vedute appartenenti alla collezione del Museo di Roma: "Il Colosso visto dall'alto «del 1855 e "Interno del Colosseo"databile intorno al 1857, che pare quasi l'ideale continuazione dell'innovativa ricerca prospettica avviata dall'artista con la prima versione. Il suggestivo effetto raggiunto dal pittore nel rendere l'inusuale prospettiva dall'alto dell'Anfiteatro Flavio, così come "le fughe dei colonnati e degli archi" nel dipinto successivo, avvicinabili ad alcune colotipie di quegli anni, fanno ipotizzare una frequentazione del Caffi dell'ambiente dei pittori-fotografi che diedero vita alla "Scuola romana di fotografia", a dimostrazione di come il bellunese non guardasse con timore all'avvento del nuovo mezzo di riproduzione del "vero".

L'Oriente

II 5 settembre 1843 Ippolito Caffi parte da Napoli per un lungo e atteso viaggio in Oriente, desideroso di veder e di narrare attraverso la sua pittura la realtà di quelle terre - le città, i templi, le moschee - distanziandosi in ciò dalla moda orientalista di quegli anni fatta di harem e di arredi esotici, spesso del tutti immaginari. Egli si sente ed agisce come un viaggiatorereporter, con il taccuino in mano e all'occorrenza il pennello. Atene è la prima mèta del viaggio nel Levante e Caffi si sofferma soprattutto sull'Acropoli, immersa in un'affascinante solitudine, annotando nella sua precisione luministica anche due note di colore fondamentali: il tono splendente del marmo pario, rispetto all'azzurro intenso del cielo.
Tra le opere selezionate per la mostra, vi anche una tra le più complete ed impegnate vedute del cuore dell'Acropoli - "Il Partenone", da Ca' Pesaro - realizzata eccezionalmente su una tela di dimensioni doppie rispetto a quasi tutti i dipinti eseguiti durante il viaggio (46 x 78 cm).

Dopo i quaranta giorni trascorsi ad Atene e una breve sosta a Smirne, Caffi giunge a Costantinopoli dove riprende alcuni tra gli aspetti più suggestivi del luogo, come "Santa Sofia", ma dove si sofferma - accanto alla preminente rappresentazione del paesaggio e dell'architettura antica - anche su alcune immagini significative attinenti alla sfera della società araba e dei suoi costumi, come nel quadretto, dal tocco fluido e scorrevole, il 'Bazar degli schiavi ; in cui appare i suo tipico modo di tracciare la figura umana con i pochi tocchi di pennello. Nel lungo soggiorno in Egitto, circa tre mesi, l'artista dipinge scorci del deserto mentre la carovana era in viaggio, poi Suez, Alessandria, Cairo, Karnak, giungendo fino alla Nubia.

Molti dei quadri realizzati in questa occasione vennero conservati gelosamente dal Caffi, che riprese questi modelli in dipinti posteriori e anche negli affreschi di Palazzo Spineda a Treviso e di Villa Miari a Sedíco; un esempio per tutti: il soggetto-base della carovana nel deserto con le piramidi sullo sfondo, che ammiriamo sia in "Riposo di una carovana", che nel bellissimo "II vento Simun nel deserto". Interessanti sono le precisazioni dei luoghi, che si possono desumere dai quadri, come il "Palazzo del Pascià' (Kasr el Nil), che oggi non esiste più, e il quartiere del "Boolak al Cairo" che ospitava i dignitari di corte. Negli interni della città, come nel dipinto "Il Cairo" del Museo Civico Revoltella di Trieste - al di la della resa macchiettistica dei personaggi che animano la via - Caffi si sofferma con attenzione sui particolari architettonici e scenici. Nel viaggio di ritorno il pittore bellunese fa tappa a Gerusalemme della quale dipinge vedute d'insieme, la porta di Damasco, la Moschea di Omar, le tombe dei Re.

Genova, Milano, Pallanza, Nizza, Ginevra, Torino, Parigi

Nel suo viaggiare, Caffi visita numerose città italiane ed europee e di ciascuna lascia un'impressione, un ricordo; tratteggia una veduta, un paesaggio "emotivo" di cui la mostra dà ampio conto.
A Genova, dove giunge negli anni dell'esilio con la giovane moglie, realizza numerosi panorami, fatti da altezza diversa - dalla cornice dei monti attorno alla città - e alcune vedute di pregio come quella prestata dalla Camera di Commercio di Genova raffigurante "Genova: Il Palazzo del Principe con la lanterna".
Della città ama soprattutto le marine, mentre parla spesso nelle sue lettere di come questa sia particolarmente scomoda, ma in poco meno di un anno fa 13 studi dal vero, un libro di cartoni, due libri di macchiette colorite rappresentanti costumi diversi e 25 quadri tra grandi e piccoli.
In "Bagno delle donne del popolo a 5. Nazaro di A/baro" del Museo di Ca' Pesaro, il pittore riprende, da un altro punto di vista, un motivo che aveva già affrontato con grazia ed efficacia. Sarà poi sul lago Maggiore, a Pallanza, a Ginevra e quindi a Torino, dove dipinge tra le altre una colorita 'Veduta di Superga".
Nel '55 è a Parigi, dove partecipa all'Esposizione Universale con tre opere.
In mostra vi sono due suggestive opere di soggetto parigino, entrambe da Ca' Pesaro: il "Palazzo del Louvre dal lato della Senno" e il "Boulevard St. Denis", ove, nella notte punteggiata di lumi e di motivi balenanti è evidente l'affinità con lo spirito dei "moccoletti' o delle dimostrazioni in onore di Pio IX.

Napoli

Napoli merita una considerazione a parte. A Napoli è il senso dello spazio che lo colpisce. Nel suo soggiorno nel '43, in attesa di imbarcarsi per il viaggio in Oriente, è stato sottolineato come egli sappia "cogliere in una veduta vasta e spaziata, come quella del golfo e del molo, una sintesi essenziale, gli elementi che danno un taglio paesistico e delineano ciò che distingue maggiormente la "memoria" del luogo'- Di Napoli, accanto alle affascinanti vedute, segnaliamo in mostra due opere che ricordano un importante evento storico. Nel 1860 Caffi si dirige appositamente - nella sua ansia di pittore-reporter - nel capoluogo partenopeo, per fissare sulla tela "L'arrivo di Vittoro Emanuele II a Napoli», a fianco di Garibaldi: il suo primo ingresso in città da sovrano.
Caffi annota le sue prime impressioni di quel trepidante momento sul foglio, crea poi di getto - tutto tocchi, colori e luce - un modelletto di incantevole vivacità, dalla luce orchestrata - in cui l'artista inquadra il Palazzo Reale, lasciando il resto in una penombra brillante.

Accanto al bozzetto, in mostra, si potrà tuttavia ammirare anche un olio imponente, per dimensioni (277 x165 cm), di grande impatto visivo, che il pittore bellunese dipinge su richiesta dello stesso "Re Galantuomo«, ultimato nel febbraio del 1861 e prestato, per l'occasione, dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per il Piemonte.

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